Ricordo di Bede Griffiths OSB

di Flavio Pelliconi

Perché vai sempre a visitare il rabbi?" chiesero a un chassid. "Non ci crederai, ma ci vado solo per vedere come si allaccia le scarpe". Questo dialogo in un libro di storielle ebraiche mi fece sorridere. Una risposta, pensai, che non sfigurerebbe in una raccolta zen, eppure... Anch'io sono andato molte volte a visitare il mio guru e, se non per vedere come si allacciava le scarpe, di certo per farmi toccare la fronte.

Padre Bede viveva in povertà, ma con grande eleganza, in un ashram sulle rive della Kaveri, nell'India del Sud. Abitava una capannuccia di pochi metri quadri, possedeva solo un cambio d'abito: due pezzi di tela arancione, uno per la parte inferiore del corpo e uno per quella superiore e un paio di sandali; dormiva su un letto di cemento reso appena confortevole da qualche stuoia. Unico lusso, una macchina per scrivere. Sebbene le sue opere siano di grande valore teologico, il suo vero capolavoro fu la sua vita. La sua santità era tale che anche gli indù gli portavano figli e bestiame da benedire dai villaggi vicini. Padre Bede non volle mai convertire nessuno. Diceva che l'unica conversione possibile è a ciò che già si è.

Ne ricordo l'alta figura ascetica e ieratica, il viso incorniciato da barba e capelli lunghi e candidi, gli occhi azzurrissimi, innocenti come quelli d'un bimbo. Ogni mattina celebrava la messa intercalando mantra sanscriti alle preghiere cristiane e, alla fine, come benedizione, stampava, con irriferibile delicatezza, un punto di polvere rossa tra le sopracciglia dei presenti. Ebbene, non ho mai mancato una messa e, cosa da non crederci, ci andavo solo per farmi toccare la fronte.

Bede Griffiths (1980)
Padre Bede Griffiths OSB, 1980
«Giungiamo così a questa conclusione paradossale, ma teologicamente confermata, che non è attraverso la sua professione esteriore di fede che l'uomo si salva, sia egli cristiano o ebreo, indù, buddista, musulmano o agnostico o addirittura ateo, ma attraverso la sua risposta al richiamo della grazia che gli viene rivolto, segretamente, indipendentemente dal fatto che abbia o no delle convinzioni religiose» (in “Saggi per un dialogo indù-cristiano”).

Nato il 17 dicembre 1906, Alan Griffiths studiò alla Christ's Hospital (dove avevano studiato anche Coleridge e Charles Lamb) e al Magdalen College di Oxford. Lasciata Oxford, si unì a due amici nel condurre una vita d'estrema semplicità in un villaggio del Cotswold, dove incominciò a leggere seriamente la Bibbia e altre opere cristiane. A Oxford aveva abbandonato la pratica di qualunque religione, ma quest'esperienza in campagna lo guidò a una nuova comprensione del cristianesimo. In seguito fu accolto nella Chiesa Cattolica e, nel '32, si fece monaco benedettino nell'Abbazia di Prinknash, assumendo il nome monastico di Bede, da Beda il Venerabile. In seguito fu priore dell'Abbazia di Farnborough in Inghilterra. Nel 1955 si trasferì in India, nel Kerala, dove collaborò alla fondazione del Kurisumala Ashram, un monastero di rito siriaco. Nel 1968 si trasferì, con altri due monaci indiani, Swami Amaldas e Swami Christodas, al Saccidananda Ashram di Shantivanam, nello stato del Tamilnadu, vicino a Tiruchirappalli. L'ashram, fondato nel 1950 da due missionari francesi, Jules Monchanin e Henry Le Saux, era il primo tentativo di fondare in India una comunità cristiana che seguisse i costumi di un ashram e s'adattasse, nel modo di vivere e di pensare, allo stile indù. Padre Bede Griffiths diresse l'ashram di Shantivanam conformandosi in tutto e per tutto al costume vedico: vestiva la veste arancione del sannyasin e viveva in assoluta povertà. Gli indiani di religione induista che vivevano nei pressi dell'ashram lo consideravano il loro guru e gli portavano molto rispetto. Uomo di grande cultura e di profondissima spiritualità, soleva dire che la sua missione consisteva nel sensibilizzare gli occidentali all'importanza della religiosità orientale e nell'indicare la via del ritorno al Centro. Morì in odore di santità il 13 maggio 1993.


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