Il nido dell'aquila


Come l'aquila, stanca del volo, piega le ali e scende a riposare nel nido, così il Purusha luminoso entra nello stato di sonno senza sogni, dove ci si libera da ogni desiderio.

Brihadaranyaka Upanishad



Nello yoga si menzionano quattro stati di coscienza ordinaria: lo stato di allerta e concentrazione, lo stato di rilassamento vigile, lo stato di sonnolenza e primo stadio (onirico) del sonno e quindi il sonno profondo senza sogni. È una suddivisione che ritroviamo, pari pari, anche nello schema dei tracciati elettroencefalografici (EEG), dove gli stati suddetti sono denominati, rispettivamente: Beta, Alpha, Theta e Delta.

La filosofia yoga identifica nello stato di sonno senza sogni lo stato naturale dello spirito (il Purusha), che ogni notte, come un'aquila che torna nel nido, va ad accoccolarvisi e là, distaccato dalla materia e dal divenire, si libera delle impressioni e della fatica del vivere accumulati durante lo stato di veglia. Per addormentarsi, infatti, bisogna abbandonare tutto: non solo le preoccupazioni, i pensieri, gli affetti, le avversioni, le passioni — in una parola tutto il mondo e i suoi oggetti — ma anche tutti i ruoli e le identità che impersoniamo sulla scena del mondo e, last but not least, anche il sentimento dell'io cui siamo così tenacemente aggrappati.

Da ciò conseguono due concetti basilari per la comprensione dello yoga: il primo è che l'aquila, (che è allegoria dello spirito) sa già come ritornare nel nido del suo stato naturale perché lo fa ogni giorno, e, pertanto, nello yoga non si tratta d'imparare nulla, ma solo di mollare le resistenze e gli appigli che impediscono il ritorno nel nido; il secondo è che — come nello stato di sonno senza sogni non si può dire che non si esiste — così non si potrà dire che non si esiste più qualora si lasci cadere il sentimento dell'io; da ciò consegue che l'esistenza in uno stato in cui l'io è stato lasciato andare del tutto non solo è possibile e concepibile, ma è anche un'ineludibile esperienza quotidiana che tutti ogni giorno facciamo e senza la quale non potremmo nemmeno vivere.

Il desiderio non è «male» in sé, ma in quanto causa di aggrappamento e identificazione con gli oggetti del mondo esterno percepiti dai sensi, che distoglie l'aquila dal ritorno al nido. Ma non va presa come un'ingiunzione a imporsi di non desiderare, cosa che non sarebbe praticabile né ragionevole, ma come un invito a considerare almeno la rinuncia al desiderio di desiderare, che è la causa prima di tutta la sofferenza esistenziale.

Inserito Lun - Luglio 4, 2005, 10:00 m. in

Ritorna a: |    

Inserisci qui il tuo commento:

 

.