L'invidia


Ognuno fa offerte a seconda della sua fede e delle sue convinzioni. Perciò il monaco che invidia il cibo o la bevanda offerti a un altro non riesce a concentrarsi né di giorno né di notte. Ma il monaco la cui invidia è stata tagliata fuori, estirpata, spazzata via, consegue la concentrazione, di giorno come di notte.

(Dhammapada,  249-50)


L'invidia implica un formidabile spirito critico che può essere utilizzato costruttivamente. Il suo contrario, nell'insegnamento buddista, è mudita, un atteggiamento congratulatorio che consiste nell'apprezzare i successi e le qualità degli altri. Per disinnescare l'automatismo dell'invidia, la prima cosa da apprezzare — secondo i maestri buddisti — è proprio questa poderosa facoltà critica che, se rivolta a se stessi invece che agli altri, diventa un eccellente strumento di autoconoscenza. In pratica si tratta di impiegare la facoltà critica per osservare le proprie tendenze innate allorché si manifestano nella vita quotidiana, invece di estrofletterla per giudicare gli altri e paragonarsi a loro.

Nella meditazione vipassana i turbamenti dovuti all'invidia (o alla gelosia, alla rabbia, all'odio, al rancore ecc.) vengono trattati come semplici senzazioni, poiché come senzazioni li percepiamo. Non si tratta di pensare all'invidia, alla gelosia ecc. ma di toccare il sentimento che avvertiamo, esplorando il sintomo che ce lo rivela, accettandolo e vivendolo così com'è, senza cercare di modificarlo o allontanarlo. Commutando l'attenzione dal pensare al sentire, tocchiamo la sensazione originata dal turbamento e, mantenendola nel corpo, ci rendiamo conto che è mutevole, in continuo divenire e non così solida e duratura come ce l'eravamo rappresentata allorché la evadevamo, disconoscendola e contemporaneamente continuando a ricrearla compulsivamente col pensiero ripetitivo. Realizziamo che il pensiero precede il turbamento, che ne è la causa, l'origine. Verifichiamo di prima mano che il turbamento nasce nella mente e nella mente finisce.

Continuando a tenere l'attenzione sulla senzazione, sentiamo che l'energia congestionata nel sintomo si libera e comincia a circolare, rendendosi disponibile per un altro impiego, più salutare. La meditazione vipassana è una forma di riciclaggio: l'attenzione alle proprie sensazioni corporee permette di liberare le energie congestionate nelle emozioni negative e di farle circolare rendendole disponibili per un riutilizzo positivo. Gandhi conosceva bene quest'arte del «riciclaggio organico», infatti dichiarò che tutta la sua energia proveniva da questo lavoro sulle emozioni. Perciò le emozioni «negative» non sono del tutto negative in sé, perché sapendole abilmente sfruttare non solo sono una preziosa opportunità per lo sviluppo dell'insight, ma anche una formidabile fonte d'energia.


Inserito Ven - Aprile 22, 2005, 02:09 p. in

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