Primo: non uccidere!


Consapevole della sofferenza causata dalla distruzione della vita, mi impegno a coltivare la compassione e a imparare i modi di proteggere la vita di persone, animali e piante. Sono deciso a non uccidere, a non consentire che gli altri uccidano e a non permettere alcuna uccisione nel mondo, nei miei pensieri e nel mio modo di vivere.

Thich Nhat Hanh


Il tradizionale pacifismo buddista dipende dal fatto che il primo precetto, e sottolineo il primo, è la nonviolenza. La prima e più importante regola buddista è non uccidere, non ferire, non offendere qualunque creatura che respiri. Per una coincidenza forse significativa, anche Gesù, quando enumerò i comandamenti al giovane ricco (Mc 10,17 e segg.) mise «non uccidere» al primo posto:

Mentre [Gesù] usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.

Non sappiamo se Gesù cambiò l'ordine dei comandamenti perché consapevole del fatto che mettere una cosa al primo o al quinto posto non è esattamente la stessa cosa; rimane in ogni caso la testimonianza che lo fece, reiterando, quasi nello stesso ordine, le norme comportamentali dettate dal Buddha ai propri discepoli qualche secolo prima. Viene spontaneo pensare che se anche i cristiani avessero messo al primo posto «non uccidere», invece dell'imperativo veterotestamentario «non avrai altro Dio all'infuori di me», forse, chissà, la storia dell'Occidente avrebbe preso un'altra piega.

Non uccidere in nome di Dio
Il mondo ha bisogno d'una forte riaffermazione di questo primo comandamento. È più che mai urgente che tutti i leader religiosi avvertano la necessità di proclamare ad alta voce e con forza che nessun peccato è tanto grave e offende Dio quanto l'uccidere in nome di Dio.

In ogni caso, non mi faccio soverchie illusioni. Questo nostro mondo non mi pare il paradiso terrestre che potrebbe essere se solo l'umanità fosse un filino più saggia. Forse aveva ragione Schopenhauer, che descrisse il nostro come «il peggiore dei mondi possibili, perché se fosse appena un poco più imperfetto non potrebbe sussistere».

Alla razza umana compete un'enorme responsabilità, perché se gli uomini e le donne di questo pianeta non fanno il bene, sarà assai difficile che nel mondo il bene possa prevalere. La consapevolezza dell'interdipendenza promuove la nostra responsabilità da individuale a universale: agire male, agire bene o restare ciechi, sordi e indifferenti possono fare un'enorme differenza. Abbiamo il dovere morale di cercare le vie del dialogo e della pace. La riconciliazione tra gli uomini dev'essere, da chi «non vive di solo pane», perseguita come segno visibile della riconciliazione col mistero che ci trascende tutti. Come leggiamo nel Nuovo Testamento: «Chi non ama il fratello che vede, come può amare un Dio che non vede? Da lui abbiamo ricevuto questo comandamento: chi ama Dio, ami anche il proprio fratello». (1 Gv. 4, 20-21)

Inserito Lun - Aprile 18, 2005, 12:00 p. in

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